COMPORTAMENTI CHE POSSONO ESSERE DEFINITI DELLE VERE E PROPRIE DISCRIMINAZIONI
La Corte ha del pari considerato che la circostanza che determinate disposizioni del Trattato si rivolgano formalmente agli Stati membri non esclude che, al tempo stesso, vengano attribuiti dei diritti ai singoli interessati all'osservanza degli obblighi così precisati (v. sentenza 8 aprile 1976, causa 43/75, Defrenne, Racc. pag. 455, punto 31).
La Corte ha così concluso, quanto ad una disposizione del Trattato avente natura imperativa, che il divieto di discriminazione riguarda del pari tutti i contratti che disciplinano in modo collettivo il lavoro subordinato, come pure i contratti fra privati (v. citata sentenza Defrenne, punto 39).
Siffatta considerazione deve, a fortiori, valere per l'art. 48 del Trattato, il quale enuncia una libertà fondamentale e costituisce una specifica applicazione del divieto generale di discriminazione enunciato nell'art. 6 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 12 CE). Al riguardo, esso mira a garantire, al pari dell'art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti con gli artt. 136 CE - 143 CE), un trattamento non discriminatorio nel mercato del lavoro. Si deve quindi considerare che il divieto della discriminazione in base alla cittadinanza, enunciato dall'art. 48 del Trattato, si applica anche ai privati."
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